Sabato 5 dicembre - ore 21
Wishilist club (Via dei Volsci 126 b - Roma)
Nella formazione degli Anagramma è curiosamente assente un bassista, cosa che induce il gruppo a rivolgersi a terze persone, impiegate di volta in volta in base ai contesti sonori tipici di ogni singolo brano. Mentre il primo album della band – l’omonimo di 3 anni fa, sempre per i tipi di “Terre Sommerse” – proponeva sonorità riconducibili ad una fusion d’assalto tipica della metà anni ’80, paragonabile per certi versi ai migliori lavori della Electric Band di Chick Corea, questa nuova opera si evidenzia in termini di sostanziale attualità narrativa, maggiormente protesa verso territori di consistente ed effettiva modernità.
Le sintetiche combinazioni del più liquido Allan Holdsworth – che nella pregressa fatica erano appena accennate – sono qui maggiormente espresse non solo da Stefano Pontani, suo devoto e rispettoso adepto (“Elliptical Thoughts”), ma anche e soprattutto dagli altri due, in brani di loro composizione (“Into the Mist” e “Altair”).
Situazioni più squisitamente fusion sono rinvenibili in brani come “Talking to a Friend” e “Flying Low” mentre in “2012” sono presenti riuscitissime combinazioni tra un hard rock d’annata e il jazz rock tipico dei Brand X anni ’90 (quelli di “X Communication”, per intenderci). Esattamente come nell’esordio discografico, si riscontrano anche in questo lavoro vaghi riferimenti al mondo progressive. Tuttavia, se da un lato sono assenti i criptici giri Crimsoniani di “Broadway Uptown” (splendido brano che da solo, meriterebbe l’acquisto della citata opera prima), proprio nel brano “Nibiru” sono presenti soluzioni a metà tra il Robert Wyatt più intimista e atmosfere che talvolta appaiono squisitamente canterburyane, talvolta sono jazzate alla maniera dei primi Soft Machine. Tali contesti sono certamente rinvenibili anche grazie alla presenza del vibrafono di Francesco Lo Cascio, vero e proprio caposaldo dell’improvvisazione jazz odierna, ma anche e soprattutto del flauto, magistralmente interpretato da un ispiratissimo Paolo Lucini, anch’egli membro dei già citati Ezra Winston e Matilda Mother’s.
Un capitolo a parte è “Secular Prayer”, brano conclusivo della fatica discografica, splendida ballata jazz impreziosita dalla suggestiva voce di Glenys Vargas, cantante americana di Jazz e Rhythm & Blues che vanta collaborazioni con musicisti del Jazz newyorkese contemporaneo.